28 febbraio 2006

Il Volto 1

di Andrea

Gli eventi successivi all’anno 2000, come anticipato nel primo articolo “L’ospite inattesa”, sono stati caraterizzati dai seguenti fatti. Mi permetto di fare solo un piccolo passo indietro: nella primavera dell’anno 2000 effettuai una visita dall’ex primario di medicina dell’Ospedale di Recanati, specialista nelle malattie infiammatorie dell’intestino, proveniente dall’Ospedale Sant’Orsola di Bologna.
Tale specialista mi era stato consigliato da colleghi di malattia che, confrontandoci sulla nostra esperienza comune, mi avevano convinto sull’opportunità di contattarlo. Dopo una prima visita, mi feci l’idea di aver contattato lo specialista giusto, competente e professionale, con un approccio clinico aggiornato e metodico. Infatti, da ciò che mi disse, mi permise di avere una conoscenza maggiormente approfondita sulla malattia, sia dal punto di vista scientifico che terapeutico.
Fino ad allora avevo avuto solo una generica conoscenza della malattia da ciò che mi avevano detto gli specialisti gastroenterologi che hanno formulato la diagnosi. Quest’ultimi, purtroppo, non essendo aggiornati ed altamente professionali sulla casistica affontata, non hanno quella particolare perizia che contraddistingue, invece, coloro che si dedicano solo alle due malattie infiammatorie croniche dell’intestino: la colite ulcerosa e il morbo di Crohn.
Ad ogni modo, lo specialista dell’Ospedale di Recanati mi prescrisse anche il tipo di terapia che dovevo fare nei casi di riacutizzazione della colite. Rincuorato dall’esperto in materia, trascorsi quasi indenne l’anno 2000, caratterizzato, come gli anni passati, da riacutizzazione durante il cambio di stagione.
Dopo tutte le esperienze vissute, oggi, posso dire che anche il suo approccio non era quello propriamente ottimale; infatti, le malattie infiammatorie intestinali necessitano di un costante monitoraggio e non è sufficiente la prescrizione di una terapia generale, valida per tutti; ogni caso va valutato e seguito singolarmente. Comunque, lo specialista di Recanati, anche se altamente professionale e proveniente dalla migliore scuola di ricerca e cura nelle malattie infiammatorie intestinali, era rimasto un po’ indietro nell’aggiornamento sulla cura di queste malattie o, quanto meno, seguiva un’approccio diverso. Credo che oggi posso permettermi di fare queste considerazioni non solo perché sono seguito dal maggiore centro nazionale per la cura di tali malattie, ma soprattutto perché ho potuto testare personalmente l’efficacia dei vari metodi clinici.

Per non dilungare eccessivamente il mio articolo, nell’anno 2001, come gli anni passati ho aspettato che la fase di riacutizzazione della malattia avvenisse al cambio di stagione, inverno-primavera, all’incirca verso la fine di febbraio, ma, inaspettatamente, la malattia si riacutizzò solo all’inizio della seconda metà di aprile in avanti. Fino a quei giorni avevo ipotecato l’ipotesi che la terapia di mantenimento mi avrebbe fatto passare indenne il periodo “caldo”. Invece, come ho anticipato, la mia più felice illusione fu totalmente scoraggiata quando da un giorno all’altro avvertii dolori all’intestino e le evacuazioni presentarono sangue.
Con il passare dei giorni la situazione non migliorò, anzi, ebbi anche dei piccoli episodi febbrili asintomatici di carattere sporadico, non ricollegabili a fenomeni influenzali, la cui origine mi fu data espressa conferma in futuro. Anche essi erano fenomeni associati alla riacutizzazione della malattia. A seguito di tali circostanze, come da indicazioni terapeutiche precedentemente avute dallo specialista di Recanati, il mio medico di base mi prescrisse delle punture di cortisone che in un primo momento mi fecero bene, ma che segnò sicuramente l’inizio di un’inappropriata terapia per le mie esigenze. A dimostrazione di quanto ho appena descritto, infatti, oggi posso dire che l’assunzione del cortisone segnò l’inizio di una dipendenza sia fisica che psicologica.
Ora, non mi sento di dire con assoluta certezza che il cortisone mi fece male, ma l’assunzione di tale farmaco non mi aiutò, in modo appropriato, al superamento della fase critica della riacutizzazione della malattia.
Posso solo dire che, sulla base dell’esperienza avuta, il cortisone va preso solo sotto stretto monitoraggio specialistico dedicato dai gastroenterologi che curano le malattie infiammatorie croniche dell’intestino e con l’attenta valutazione dello stato fenomenologico della malattia.
Continuando la narrazione dei fatti, dopo qualche tempo di apparente stasi della malattia, essa si riaffaciò con tutte le sue sintomatologie: dolori intestinali con scariche veloci e ripetute.
Ancora una volta, il mio medico di base, sulla base della sintomatologia accusata, seguì alla lettera le indicazioni terapeutiche descritte dello specialista di Recanati nei casi di riacutizazione della malattia.
Successivamente, quindi, non feci altro che assumere nuovo cortisone sotto forma di pasticche, questa volta determinato in una quantità ben precisa con l’indicazione di scalare la razione di partenza in maniera lenta e graduale. In aggiunta al cortisone presi anche, per alcuni giorni, particolari antibiotici che mi alterarono il gusto al sapore di metallo.
Collocandoci nel tempo, era quasi giunta l’estate e negli anni precedenti la fase critica era oramai passata da tempo. Tutto sommato la terapia appena descritta mi fece star bene, avvertii anche l’effetto euforico del cortisone ma, ripensandoci bene, avevo anche i nervi quasi a fior di pelle ed era, conoscendo il mio carattere estremamente paziente, il sintomo di una malattia latente non ancora risolta.
Verso la fine di luglio mi assalì un senso di tristezza malinconica non meglio identificabile, molto probabilmente era il rovescio della medaglia dell’apparente positivo stato di salute; infatti, se alla fine dell’estate dell’anno 2001 avevo assunto un fisico tonico e prestate, come ogni estate dedicata al nuoto quotidiano, essa segnò anche l’inizio di un fastidio tipico.
Quest’ultimo, collocato nella parte sinistra dell’addome, precisamente nella parte dell’intestino in cui finisce il colon trasverso - inizio colon discendente, è la zona in cui ho collocata la malattia. Il fastidio descritto assunse la sensazione di una zona calda o di una leggera compressione che avvertivo dall’interno del corpo verso l’esterno; un po’ come se vi fosse della brace sotto la cenere. Questo fastidio, come detto, era situato prorio alla fine del colon trasverso, con un’estensione di alcuni centimetri.
Praticamente era in atto un surriscaldamento motivato della zona interessata, come un missile sulla rampa di lancio pronto per partire.
Oggi, sono sempre più convinto che quello fu l’effetto principale del cortisone che avevo preso per circa tre mesi. Infatti, se questo farmaco viene preso per un periodo di tempo abbastanza lungo può provocare un’infiammazione maggiore di quella iniziale. Successivi avvenimenti che descriverò nel prossimo articolo andranno a dimostrare maggiormente quanto ho appena affermato. Secondo la mia esperienza, posso affermare che il cortisone va assunto solo nei casi in cui sia estremamente indispensabile e deve avere un’azione topica e non sistemica (che vada cioè a curare solo laddove deve svolgere la sua azione e non in tutto l’organismo).
La mia esperienza, non troppo felice, fu dovuta principalmente al fatto che mi ero affidato alle cure del mio medico di base, scevro delle conoscenze specifiche di uno specialista nelle malattie infiammatorie intestinali; aveva solo applicato alla lettera le indicazioni terapeutiche del primario del reparto di medicina dell’Ospedale di Recanati. Oggi, ripensandoci, mi chiedo, in quali casi è necessaria la cura con il cortisone? In tutti i casi di riacutizzazione della malattia? Proprio no, infatti se anche si fa un monitoraggio frequente degli esami del sangue, è anche vero che il cortisone falsa la realtà sullo stato di salute generale.
La riprova di quest’ultima tesi è confermata dagli eventi che descriverò nel prossimo articolo.
Ora, penso di essermi dilungato fin troppo dettagliatamente nella descrizione della mia storia, quindi, dopo “aver concesso” una pausa a tutti coloro che hanno seguito questo racconto, consiglio vivamente di proseguire nella lettura del prossimo articolo.
A presto.

Andrea